DISCO: APOTEOSI E CADUTA
In questa sezione si prenderà in considerazione il periodo che va dall’estate del 1978 a quella del 1980, periodo oltre il quale la parola disco fu progressivamente abbandonata per designare la musica che si ballava in discoteca.
Nel 1978, grazie probabilmente all’effetto combinato Saturday night fever e Grease, le vendite dei dischi subirono un’impennata. Il fenomeno riguardò tutto il mondo e fece sentire i primi effetti già nell’ultimo trimestre del 1977: per quanto riguarda i singoli, nel 1978 nel Regno Unito vennero consegnati ai negozi 100 milioni di esemplari, con diversi hit milionari, tra cui Rivers of Babylon/Brown girl in the ring che, con 40 settimane in classifica e vendite certificate di 1.800.000 unità, diventò il secondo singolo più venduto di tutti i tempi fino a quel momento dopo Mull of Kintyre dei Wings, che aveva superato i 2 milioni solo qualche mese prima. (Per la cronaca, il titolo di singolo più venduto era detenuto, con 1.800.000 copie vendute, da She loves you).
Anche l’Italia, nel suo piccolo, conobbe un discreto boom: il volume delle vendite fece un balzo superiore al 20%, e il 1979 fu l’ultimo anno in cui le vendite dei singoli si avvicinarono ai 30 milioni di pezzi, prima dell’inabissamento che proseguì ininterrotto per tutti gli anni ottanta.
La cuccagna non durò a lungo: nel 1980 le vendite erano tornate ai livelli del 1977, discoteche e concerti erano molto meno frequentati che nel biennio precedente e, con buona pace per tutti, i discografici si dovevano far venire in mente idee nuove.
Il 1979 fu l’anno in cui i successi disco furono veramente grossi, la produzione per molti versi fu più curata e varia, i confini tra pop e disco diventarono quasi inesistenti, il crossover era piuttosto generalizzato, non solo nelle aree di naturale affinità quali il soul e il funky, ma anche in quella del rock e della nascente new wave si assistette a recipoci e proficui scambi di sonorità. Nel 1980 il suono tipicamente disco era già in disarmo e proibita, almeno negli Stati Uniti, ne fu la parola. Almeno due successi stratosferici come Funky town e Upside down ne ritardarono di qualche mese la morte e nel 1981 di disco non si parlava più.
Si sta parlando del marchio di fabbrica più importante, sia in termini di successo che di influenza, degli anni 1977/1980, con il suono, quasi un brevetto, più riconoscibile e caratteristico del periodo. La pervasività delle loro produzioni nei mercati discografici, nelle onde radio, e nelle discoteche assunse i connotati di un’occupazione vera e propria.
Non credo di esagerare ma fu grazie agli Chic che molti, che avevano snobbato fino a quel momento la disco, cominciarono a guardarla con meno sufficienza. Il loro suono era diverso da tutto ciò che si era sentito fino a quel momento grazie al grande talento di Nile Rodgers e Bernard Edwards che svilupparono un fraseggio di basso e chitarra, raramente così presente nella produzione disco, che, insieme alle voci e alla batteria, creavano un effetto sofisticato ed elegante. A rafforzare questa impressione contribuiva anche l’utilizzo massiccio di parole ed espressioni francesi: chic (c’est chic), le freak, savoir faire, risqué nei titoli, ma anche crème de la crème (in He’s the greatest dancer delle Sister Sledge).
Il catalogo Chic, oltre ai successi in proprio (in ordine cronologico, Dance dance dance, Everybody dance, Le freak, I want your love, Good times), comprende:
- l’album solista di Norma Jean, loro vocalist in Chic, l’album del 1977,
- le Sister Sledge, i due album We are family e Love somebody today,
- Spacer di Sheila,
- Diana di Diana Ross.
Negli anni Ottanta Edwards e Rodgers, separatamente e qualche volta insieme, si occuparono di Debbie Harry, Carly Simon, David Bowie, Robert Palmer, Power Station, Duran Duran, Grace Jones, etc.
Il 1979 fu il loro anno magico: C’est chic, il secondo album disco, uscito alla fine del 1978, trainato da Le Freak e subito dopo da I want your love, veniva suonato per intero nelle discoteche e nelle radio. In primavera fu il momento dei due singoli fenomenali delle Sister Sledge: He’s the greatest dancer e We are family. In estate imperversò Good Times e subito dopo My forbidden lover e My feet keep dancing. Alla fine del 1979 Good times, venne utilizzata come base per quello che è considerato il primo brano hip-hop di successo, Rapper’s delight della Sugarhill Gang. L’estate successiva i Queen conobbero il loro più grande successo americano, utilizzando il giro di basso di Good times e mentre Diana Ross imperversava con Upside down e tutto l’album, Diana, il tentativo di superare le barriere della disco da parte degli Chic, con l’album Real people non interessò praticamente nessuno. Se può interessare, a me, in quell’estate 1980, Rebels are we piaceva da pazzi.
Per Donna Summer esiste un prima e un dopo: il discrimine corre lungo il 1978. In Italia e in Europa raggiunse il massimo del successo con I feel love, che andò al primo posto dappertutto, trascinandosi dietro l’album, il mediocre I remember yesterday, il secondo singolo, Love’s unkind e anche il tema del film, The Deep, Deep down inside, che uscì nell’autunno del 1977. Once upon a time, pubblicato alla fine del 1977 inaugurò la serie degli album doppi, e nonostante si debba ritenere il suo migliore sforzo a 33 giri, non produsse singoli di particolare successo: le radio italiane li tralasciarono (Once upon a time e I love you) in favore della cupa ed ipnotica Now I need you. Gli scricchiolii si fecero più forti quando Last dance, il singolo di punta del soundtrack di Thank God it’s Friday, film musicale sulla scia di Saturday Night Fever, non andò in classifica in Italia e non entrò nei top 50 inglesi. Last dance, disco d’oro e oscar come miglior canzone, segnò viceversa negli Stati Uniti l’inizio del periodo di maggiore successo di Donna Summer, di cui già si è parlato. Hot stuff, apice del successo americano, non fu nemmeno top ten in UK, così come l’album Bad girls, doppio disco di platino in US, non andò oltre il 23° posto in UK. Era evidente comunque che, a parte Hot stuff, che con le infuriate schitarrate rock, rimane un unicum, le produzioni di questo periodo miravano ad un pubblico meno settoriale di quello disco, e fossero più indirizzate verso il mercato americano.
Spirits having flown vendette sulla fiducia, andò al numero uno dappertutto, ma se paragonato a Saturday Night Fever, fu quasi un fiasco - negli Stati Uniti non andò oltre il milione di copie; i tre singoli fecero tutti il loro dovere allungando a 6 la striscia di numeri uno consecutivi in US, ma non si può evitare di considerarli di molto inferiori al materiale precedente: Too much heaven era una pessima copia di How deep is your love e Tragedy e Love you inside out risultavano oltremodo fiacchi a confronto di Night fever e Stayin' alive. Dopo di ciò, a parte le fortunatissime produzioni di Barbra Streisand e di Dionne Warwick, i Bee Gees si presero un lungo sabbatico da cui riemersero più rockeggianti nell'autunno 1981 con He's a liar nel disinteresse generale, a parte l'Italia, in cui salì fino al terzo posto (classifica Musica e Dischi); Living Eyes, l'album, non entrò nei top 40 né in US, né in UK.
VILLAGE PEOPLE
Prodotto tipicamente da studio come tanti altri del periodo disco, il gruppo fu assemblato dal produttore francese Jacques Morali (che stava dietro anche il marchio Ritchie Family) e dal suo partner Henri Belolo intorno al talento canoro di Victor Willis che possedeva una delle poche voci del registro vocale maschile del firmamento disco, in cui primeggiavano voci femminili, falsetti e addirittura voci da controsoprano!; per ironia della sorte, tale exploit si associava a un gruppo in cui l'estetica di riferimento era tipicamente quella della scena gay del Village, con i caratteri macho del motociclista, del poliziotto, del muratore, del cowboy, del soldato e dell'indiano pellerossa. Furono i più popolari divulgatori delle tipologie gay che frequentavano le discoteche americane, con riferimenti evidentissimi ai gay di mezzo mondo, ma probabilmente, non immediatamente palesi per il pubblico di massa che acquistava i loro dischi e si divertiva con le loro coreografie piuttosto elementari e i cori simil-marcia militare. Raggiunsero l'apice di popolarità con l'uno-due di YMCA e In the navy nei primi mesi del 1979; subito prima avevano spopolato nelle discoteche con San Francisco e Macho man. Dopo il fiasco del film Can't stop the music e l'abbandono del gruppo da parte di Willis, con problemi di droga e violenze e stufo, inoltre, di essere associato ad un gruppo gay, tentarono il rilancio nel 1981 con atmosfere e look new romantic: l'album era Renaissance e i singoli Do You Wanna Spend The Night e 5 O' Clock In The Morning; probabilmente ebbero successo solo in Italia, grazie alla partecipazione come ospiti al festival di Sanremo 1982.
MAIN COURSE: PESI MASSIMI E PEZZI UNICI
Eccoli qui: il canone disco del periodo maggiore. Si parla di successi transatlantici e planetari, milioni di copie vendute, numeri uno in tutte le classifiche disponibili. Quando, nei primi anni novanta, sono cominciati i revival disco, l’attenzione si è concentrata soprattutto su queste. Le conoscono anche le mie nipoti che hanno meno di 20 anni, e che pensano che il periodo in cui uscirono queste canzoni, fosse permeato di letizia e spensieratezza. Nel 1998 uscirono quasi contemporaneamente due film, Studio 54 e The Last Days of Disco, con intenti quasi celebrativi dell'era disco, dell'anno prima era Boogie Nights che, pur non centrato sulle discoteche e sulla musica, con il periodo disco aveva molto a che fare: aldilà dei giudizi di valore che si possono dare su questi film, sfido chiunque a convincermi che l'idea che fanno emergere sia quella di un periodo allegro e spensierato.
Di questa serie celeberrima spiccano gli one hit wonder di Anita Ward, dei Lipps Inc., di Patrick Hernandez e di Amii Stewart di cui, perlomeno nel mercato americano, si persero subito le tracce; sviluppò una sorta di seconda carriera in Italia invece, con risonanza in tutta Europa e persino in Inghilterra, grazie alle produzioni di Mike Francis, segnatamente Friends e Together, intorno alla metà degli anni ottanta. Altrettanto improprio sembrerebbe includere Sylvester in questa categoria: se è vero che You make me feel (mighty real) rimane insuperato come dimensione di vendite e popolarità rappresentando, tra l'altro, il più grande successo in discoteca post-Saturday Night Fever, nell'estate del 1978; dopo qualche successo minore, ritornò alla grande nel 1982 con Do you wanna funk, inno high energy di Patrick Cowley che, con Sylvester, condivise lo stesso tragico destino di morte per AIDS.
Nelle discoteche dell'estate del 1978, insieme a Sylvester, si cominciò a sentire il falsetto di Mick Jagger e le linee di basso micidiali di Miss you dei Rolling Stones: i fans più accaniti non apprezzarono ma il successo inevitabile portò il singolo ad essere l'ultimo numero uno americano; del resto il flirt con suoni più dance era cominciato qualche anno prima con la torrida Hot stuff e proseguirà anche con la fiacca Emotional rescue, nel 1980.
Quando Da ya think I’m sexy esplose fragorosamente nelle classifiche diventando il secondo singolo di Rod Stewart, dopo Maggie May, ad andare al primo posto sia in UK che negli Stati Uniti, la reputazione del cantante inglese era già in gran parte compromessa; ciononostante, l'accoglienza riservata a Da ya think ... fu oltremodo imbarazzata, sembrando impossibile che la parabola già largamente in discesa di Stewart nell'ambito della credibilità artistica, potesse scendere così in basso; le vendite, invece, non sarebbero mai più state così alte: quattro volte platino in US per il mediocre album Blondes have more fun e ai primi posti in tutto il mondo con il singolo.
Heart of glass, nello stesso periodo, rappresentò l'ingresso dei Blondie nel paradiso dorato delle superstar transcontinentali: esisteva già con altro titolo e veniva spesso eseguita dal vivo nella versione più rock. I fans gridarono al tradimento, ma il gruppo non sembrò preoccuparsane troppo: Debbie Harry quando intervistata sulla questione, sorrideva sorniona, chiamando Heart of glass, "the disco song".
Good times Chic
I will survive Gloria Gaynor
Hot stuff Donna Summer
Funky town Lipps Inc.
Knock on wood Amii Stewart
Ring my bell Anita Ward
Heart of glass Blondie
You make me feel (mighty real) Sylvester
Don’t stop 'til you get enough Michael Jackson
He’s the greatest dancer Sister Sledge
Y.M.C.A. Village People
Le freak Chic
Miss you Rolling Stones
Upside down Diana Ross
Another one bites the dust Queen
Spacer Sheila & the Black Devotion
We are family Sister Sledge
Born to be alive Patrick Hernandez
Boogie wonderland Earth Wind and Fire
Da ya think I’m sexy Rod Stewart
Tragedy Bee Gees
CONTORNI
In ordine sparso ho riportato qui una lista dei brani più ballati e ascoltati del periodo compreso tra la fine del 1978 e il 1980. Sopravvive qualche produzione europea “vecchia maniera” ma la prevalenza è per un suono strettamente imparentato con il filone r’n’b che, nelle sue varianti, riprende il sopravvento sul tipico beat disco, via via abbandonato.
Does it feel good to you BT Express
You gave me love Crown heights affair
Ladies night/Celebration Kool & the Gang
Second time around Shalamar
Cocomotion El Loco
Dancer Gino Soccio
Put a little love on me Delegation
Keep on jumpin’/In the bush Musique
I got my mind up Instant funk
Instant replay/Relight my fire Dan Hartman
I love America/Lady night Patrick Juvet
Automatic lover/Meteor man Dee D. Jackson
Mandolay La Flavour
High steppin hip dressin’ fella Love Unlimited Orchestra
Shangaied ‘Lectric funk
We all need love Trojano
Lady bug Bumblebee Unlimited
Givin’up givin’in/The runner Three degrees
Future woman/On the road again/
Electric delight/Galactica Rockets
I can’t stand the rain Eruption
The letter Queen Samantha
Pop muzik M
Saturday Norma Jean
I was made for dancing/Feel the need Leif Garret
Come to America/Cuba/Que sera mi vida Gibson Brothers
Mister melody maker Johnnie Taylor
Gonna get along without you Viola Wills
Gimme gimme gimme Abba
Superstar Bob McGilpin
TRANSFUGHI
Per quasi tutti l’accusa fu: venduti! Quelli che furono successi stratosferici li abbiamo visti sopra (Blondie, Rolling Stones, Rod Stewart, Queen). Questi invece furono spesso discreti successi, quasi mai brani indimenticabili. Le mie preferenze vanno al lavoro di Moroder con gli Sparks e non mi dispiace neanche il remake, che fece drizzare tutti i peli dei fans!, di Here comes the night dei Beach Boys. Gli Steely Dan stanno a parte, ovviamente: scusate se li ho citati! Particolarmente clamoroso fu il tonfo di Elton John, la quintessenza della superstar degli anni settanta, a cui Pete Bellotte, autore di tutto l’album dallo stesso titolo, non fece un gran servizio. Non restarono immuni dal contagio nemmeno le due star del reggae, gli amici-nemici Bob Marley e Peter Tosh.
I was made for loving you Kiss
Victim of love Elton John
Shine a little love Electric Light Orchestra
Hey nineteen/Glamour profession Steely Dan
Goodnight tonight Paul McCartney
Beat the clock /La dolce vita Sparks
Here comes the sun Beach Boys
Could you be loved Bob Marley
Buk-In-Hamm palace Peter Tosh
Alive again Chicago
One chain Santana
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