giovedì 30 agosto 2007

family day

Natalia Aspesi su "La Repubblica" del 24 agosto 2007:
.......................... omissis.......................
la violenza domestica è nel mondo la prima causa di morte per le donne tra il 16 e i 44 anni, più del cancro, degli incidenti stradali, delle guerre; in Italia nel 2005, nelle famose famiglie da family day, c'è stato un omicidio ogni due giorni, in sette casi su dieci la vittima era una donna.
.......................... omissis.......................

Sergio Solmi - L'esistenza individuale...

L'esistenza individuale non è un punto contemplativo nello spazio - come sogliamo rappresentarcela staticamente - né, come altra volta mi parve, una linea in progresso nel tempo - come sogliamo rappresentarcela dinamicamente. Non è un semplice specchio né una semplice serie di esperienze e di acquisizioni. E' piuttosto una macchina complessa e contraddittoria di compensazioni, che funziona ad un fine che le è inerente. Essa non aspira alla coscienza, al benessere, alla saggezza, alla potenza. Non aspira alla felicità. Sembra aneli soltanto a un difficilissimo equilibrio fra un certo numero di 'falsi scopi'. Chi crede di perseguire la gloria e la ricchezza, e in realtà mira a conservarsi in uno stato di agitazione permanente. Chi cerca unicamente la quiete, e si assicura invece una impercettibile agonia. L'esistenza si crea desideri apposta per non soddisfarli, l'impossibilità per potervisi urtare continuamente. Essa non vuole in realtà nulla di quanto inesauribilmente progetta, ma si appresta a nutrirsi delle dubitose transazioni fra progetto e realtà, talora della stessa inevitabile sconfitta. Quanti ardenti desideri, realizzati per isbaglio, ci hanno lasciati costernati e infelici! Scrutata a fondo, ogni vita è impossibile, è un ballerino sulla corda tesa. Ogni esistenza si muove su di una linea sottilissima: fra pareti illusorie di sogni, aspirazioni, progetti, orrori, rimorsi, delusioni, architettati unicamente ai fini di quell'inesplicabile equilibrio, che è la loro risultante infallibile.

da "Vecchi foglietti", in Poesie, meditazioni e ricordi, tomo II - Meditazioni e ricordi, Adelphi, 1984.

amy winehouse

"Il sogno rock si è miseramente infranto. Era una religione i cui adepti si sono dispersi. Solo ascoltando Amy Winehouse ho avuto la certezza che il rock può ancora generare un culto",
così George Michael, citato da Giuseppe Videtti su "Repubblica".

sabato 26 maggio 2007

NEW WAVE ONE HUNDRED: parte 3 (lettera C)



Cars (the) (US)

Just what I needed

1978

Nonostante un assetto tipicamente da rock band con spruzzate di sintetizzatori, quindi new wave, la loro ambizione era quella di costruire la perfetta canzone pop. O perlomeno quella di Ric Ocasek, il leader e autore di testi e musiche, la cui estetica visiva piena di glamour (l’etichetta potrebbe essere “cars and girls”) era largamente mutuata da quella di Brian Ferry e dai Roxy Music. La loro proposta fu di immediato riscontro, soprattutto in US, dove tutti i loro album furono almeno dischi di platino. Prima di affrontare progetti solisti paralleli, la band arrivò allo status da super-superstar con Heartbeat City, l’album (il quinto) del 1984, grazie ad una produzione megaleccata, a MTV che programmava i video altrettanto curati dei quattro singoli (top 40 in US) e, soprattutto, grazie ad aver incrociato il gusto di yuppies reaganiani e thatcheriani di metà anni ottanta. A quel punto andarono a far compagnia ad altre macchine-da-soldi come Dire Straits, Phil Collins, le cui musiche uscivano da automobili come la Volvo in voga in quegli anni. Per gli esistenzialisti da camera da letto c’erano gli Smiths, i Jesus and Mary Chain e i primi R.E.M.

China Crisis (UK)

Wishful thinking

1984

Nella piovosissima primavera del 1984 questa era una delle colonne sonore ideali: suoni morbidi virati sull’acustico come reazione all’eccesso di sintetizzatori e drum machines degli anni precedenti. Discretamente di successo. Si misero subito dopo nelle mani di Walter Becker degli Steely Dan.

Clash (the) (UK)

London calling

1979

The ice age is coming, the sun's zooming in/Meltdown expected the wheat is growing thin
Engines stop running but I have no fear/'Cause London is crowning and I live by the river
London calling to the imitation zone/Forget it brother, you can go it alone
London calling to the zombies of death/Quit holding out and draw another breath
London calling and I don't wanna shout/But while we were talking I saw you noddin' out
London calling, see we ain't got no highs/Except for the one with the yellowy eyes
The ice age is coming, the sun's zooming in/Engines stop running the wheat is growing thin
A nuclear error but I have no fear/'Cause London is drowning and I live by the river
Now get this/London calling yes I was there too
And you know what they said - well some of it was true/London calling at the top of the dial
And after all this won't you give me a smile?
I never felt so much like...

Da uno dei più celebrati album di tutta la musica rock – sta sempre in cima nelle liste dei dischi più importanti di sempre, insieme a Beatles, Beach Boys, Van Morrison, etc.
Straordinariamente e velocemente transitati dalla ribellione “without a cause” del primo omonimo primo album, ad una piena consapevolezza politica e sociale unita ad un’assimilazione altrettanto prodigiosa di stilemi musicali più svariati, i Clash di London Calling rappresentano una delle acquisizioni più imprescindibili della musica del periodo.
Dal caleidoscopio dell’album, ecco l’apocalisse a tempo di marcia, piena di rabbia lucida ed intelligenza, di urgenza tesa e angoscia partecipata del singolo: Radio Londra ai tempi della catastrofe nucleare. Da mandare a memoria: capolavoro!

Classix Nouveaux (UK)

Guilty

1981

Come per To cut a long story short e per Planet Earth, non si riusciva a stare fermi: in discoteca nel 1981 andavano brani come questi.
Costituivano una sorta di seconda linea del plotone new romantic: non propriamente di successo, ma molto popolari, perlomeno nelle radio italiane, con Guilty. Sal Solo, mantello e “pelata”, una via di mezzo tra Nosferatu e Von Stroheim in Sunset Boulevard, ma molto più giovane, era il “leader of the pack”. Non andò oltre il 43° posto in UK. Il video, ambientato in una discoteca, merita per una ricognizione dello stravagante abbigliamento dei presenti.

Collins, Phil (UK)

In the air tonight

1980

Gli venne molto bene. Per il suo esordio da solista Phil Collins crea un paesaggio sonoro disturbato e sinistro, più vicino alle realizzazioni elettroniche del periodo, in cui si può cogliere anche un apparentamento con Peter Gabriel, per il quale aveva collaborato a pieno servizio nella realizzazione del terzo album qualche mese prima. Insieme a Gabriel e all’ingegnere del suono, Hugh Padgham, sperimentarono per la prima volta quel particolare suono di batteria senza riverbero, che troverà la più efficace espressione in In the air tonight. Questo artificio diventerà un marchio di fabbrica di Collins: gli esempi più noti sono Mama dei Genesis e I know there’s something going on di Frida.
La canzone ebbe immediata enorme popolarità, con grande successo dappertutto, e andò in classifica anche in Italia.

Cooper, Alice (US)

Clones (We're all)

1980

Non se lo ricorderà quasi nessuno ma anche Alice Cooper attraversò una fase new wave. Qui ricorda molto Gary Numan. Si segnala il video in cui si presenta ricoperto di cuki nel ruolo previsto dal testo della canzone: l’inquadratura fissa per tutta la durata del video non aspira in alcun modo ad artistici piani sequenza, ma denuncia unicamente lo scarso credito commerciale di cui godeva Cooper all’epoca presso i suoi manager; si capisce tra l’altro perché MTV, nei suoi primi anni di vita, trasmettesse esclusivamente video inglesi.

Costello, Elvis (UK)

Alison

1977


Oliver’s army

1979

E’ verosimile che il termine new wave sia stato coniato per definire la musica di Elvis Costello, non esistendo una parola per chi, pur provenendo dalla scena punk, del punk aveva mantenuto solo l’atteggiamento lasciando alle spalle il furore iconoclasta. Riverito fin dalla pubblicazione del primo album, My aim is true, e subito sistemato tra i grandi grazie ad un’insolita qualità di scrittura, letteraria e ironica, già evidente in quello che è considerato il suo primo classico, Alison. Ripresa nel 1979 da Linda Ronstadt, è una storia di amore-odio, di amore deluso o non corrisposto, con sottotesto di sardonica amarezza.
Oliver’s army, da Armed Forces del 1979, sotto l’aria scanzonata e orecchiabile esprime una forte presa di posizione antimilitarista, criticando il reclutamento di giovani nelle forze armate, sfruttando la forte disoccupazione degli anni settanta in Inghilterra: l’Oliver del titolo è Oliver Cromwell, il personaggio storico che nel 1648, grazie alla Glorious Revolution, per un trentennio fece fuori la monarchia inglese e a cui viene fatta risalire la consuetudine di assoldare ragazzi adolescenti nell’esercito.

Culture Club (UK)

Do you really want to hurt me

1982


Karma Chameleon

1983

La produzione dei Culture Club potrebbe apparire un po’ fuori catalogo rispetto alla sezione in cui ci troviamo se non fosse che Boy George, prima di conoscere la fama planetaria, aveva già fatto una comparsata con i Bow Wow Wow ed era una presenza costante nelle serate londinesi del Blitz, il locale da cui si diffuse il verbo new romantic. Quando Do you really want to hurt me esplose nelle classifiche inglesi, Boy George si ritrovò ad essere una celebrità da un giorno all’altro: grazie ad un umorismo spigliato e alle risposte taglienti diventò uno dei beniamini non solo della stampa musicale ma anche di quella leggera, che in Inghilterra ha un seguito enorme. Nonostante gli sguardi stupiti e forse scandalizzati dei benpensanti che si ripetono all’apparire di Boy George nel video di Do you really want to hurt me, il travestitismo di Boy George dovette risultare piuttosto accettabile al punto da diventare un beniamino dei bambini; E che risultasse poco pericoloso e quasi innocuo ne è testimonianza anche l’enorme successo che accolse i Culture Club negli Stati Uniti.
Se non si hanno prevenzioni nei confronti della musica pop, non si potrà non apprezzare il perfetto marchingegno che sostiene l’intelligente leggerezza delle due canzoni, tra le più popolari del periodo, al primo posto in un’infinità di classifiche sparse per tutto il mondo.

Cure (the) (UK)

Boys don’t cry

1979


A forest

1980

…..…..
The sound is deep
In the dark
………

(A Forest – The Cure)

In questi due singoli dei Cure ancora bambini vengono fissati i parametri del template di suono su cui sarà impostata tutta la produzione successiva: linee di basso cupe e potenti, strati sovrapposti di chitarre, e un bel beat ritmico che spesso porta a muovere i piedi, con sintetizzatori che sottolineano sottofondi morbosi e dilaniati. La vocina acidula e tendente alla lacerazione di Robert Smith salmodia quadri di desolazione alienata e di spleen esistenziale. Grandissimo gruppo da singoli, unita alle caratteristiche elencate sopra, i Cure possedevano un gusto speciale per la canzone pop con bei fraseggi di chitarra e ritornelli memorabilissimi, di cui Boys don’t cry, è un primo acerbo esempio con reminiscenze anni sessanta. A tale talento si deve la trasformazione dei Cure nella band alternativa di maggiore successo, con vendite milionarie e singoli top ten negli Stati Uniti tra le fine degli anni ottanta e i primi novanta.

domenica 20 maggio 2007

NEW WAVE ONE HUNDRED: parte 2 (lettera B)

Bauhaus (UK)

Bela Lugosi’s dead

1978


Ziggy Stardust

1983

Bela Lugosi's dead/Undead undead undead

Il dark comincia da qui. Basso cupissimo, echi e riverberi dub, drum machines e androginia simil-Bowie. Di Bowie ripresero Ziggy Stardust, che diventò il loro maggiore hit, subito prima dello scioglimento. Breve apparizione all’inizio di The Hunger (Miriam si sveglia a mezzanotte) del 1983, dove eseguono Bela Lugosi’s dead.

Beat, the (UK)

Mirror in the bathroom

1980

Non tragga in inganno la terza posizione dei Beat, alle spalle di Madness e Specials, nelle olimpiadi del revival ska, con i quali, insieme ai Selecter, condivisero, almeno agli inizi, quando stavano tutti nell’etichetta 2-Tone, il progetto di fondere ballabilità e testi impegnati contro il razzismo. Il primo album, autentica fucina di singoli reali e potenziali, rappresenta un ascolto imprescindibile per comprendere l’esperienza ska (una sorta di reggae accelerato) inglese e suona freschissimo ancora adesso. Mirror in the bathroom, contrariamente ad altri pezzi, ha a che fare con temi più individuali come il senso di alienazione e paranoia indotte, ma non si evince direttamente dal testo, dall’abuso di cocaina.

4° posto in Regno Unito.

B-52’s, the (US)

Dirty back road

1980


My private Idaho

1980

In Italia, nella prima fase, furono divulgati attraverso i due pezzi segnalati, dal secondo album, Wild Planet. Esemplificano chiaramente il loro stile, pieno di reminiscenze pop anni sessanta, rockabilly ed energia che porta a saltellare allegramente dall’inizio alla fine, talvolta su tempi robotici e cadenzati come in Dirty back road. I testi tendevano al surreale e al nonsense, ma gran parte della riuscita del progetto si doveva al contrasto creato dalla stentorea voce maschile e dai ghirigori armonici delle due voci femminili insieme ad un assetto visuale pieno di glamour e di ironia, con tanto di improbabili parrucche, da cui il nome del gruppo .

Dalla collaborazione con David Byrne, da cui sarebbe stato lecito aspettarsi faville, uscirono intristiti (Mesopotamia); nel 1989, dopo una serie di prove incolori, rimessi a lucido dagli sforzi congiunti di Don Was e Nile Rodgers, facendo sembrare, tuttavia, che non era cambiato quasi nulla dai loro primi tempi felici di dieci anni prima, sbancarono le classifiche con Cosmic Thing e due singoli best seller.

Big Country (UK)

In a big country

1983

Erano quelli che suonavano le chitarre in modo che sembrassero cornamuse ma anche violini (con l’e-bow). Dopo tutta l’effeminatezza new romantic, si risentì l’odore di ferormoni maschili esaltati da un look camicie a quadri-jeans-stivali, stile cowboy delle Highlands e dalla voce stentorea di Stuart Adamson. Nel titolo segnalato, quasi eponimo, si riconoscono la magniloquenza epica delle chitarre e la marzialità delle ritmiche, tipiche della band. Il pubblico gradì moltissimo, tenendo il primo album, The Crossing, per quasi un anno e mezzo in classifica in UK e mandando in top ten quasi tutti i singoli tratti dai primi tre album. Non c’erano grandi idee però, e nonostante le vendite, già il secondo album affondava nella noia di un suono monocorde.

Stuart Adamson, fondatore, cantante e chitarrista della band, si suicidò nel 2001 alle Hawaii, a seguito di gravi problemi di dipendenza da alcool.

Blancmange (UK)

Living on the ceiling

1982

Usciti dal cappello magico del technopop, si distinguevano per uno stile più nervoso, con trame elettriche in cui confluivano anche strumenti orientali con effetti di esotismo, ritmiche spezzate e meno prevedibili della media. Il loro momento fu tra il 1982 e il 1984, un paio di album di successo e una manciata di singoli in classifica, di cui Living on the ceiling fu il maggiore (n. 7 e 14 settimane in classifica)

Blondie (US)

Hanging on the telephone

1977


Heart of glass

1979

Qualcuno nei piani alti delle case discografiche doveva aver scoperto a quali attività indugiano gli adolescenti oltre ad ascoltare musica pop. L’immagine di Debbie Harry, front-woman dei Blondie, sembrava costruita apposta per soddisfare anche i bisogni di autoerotismo degli adolescenti maschi, - Il laureato, come genere.

Provenienti dalla scena punk newyorkese del CBGB’s, virarono verso un pop di grande efficacia, la cui formula raggiunse la perfezione in Parallel lines, l’album del 1978, che esprimeva l’immediatezza della tradizione armonica del pop anni sessanta ricontestualizzata in ambito new wave, unita ad una certa speditezza moderna e con ritmiche che pescavano dappertutto. Contrariamente a quanto dichiarato dal titolo dell’album, tutto convergeva magnificamente, anche il crossover disco di Heart of glass, che impose finalmente il gruppo anche negli Stati Uniti dove, nonostante il successo inglese, risultavano dei perfetti sconosciuti. Andò tutto molto bene per un paio di anni (una mezza dozzina di singoli che rimangono tra le canzoni più popolari del periodo), poi lo scioglimento.

Boomtown Rats (Irlanda)

I don’t like Mondays

1979

Bob Geldof, prima di dedicarsi a grandi progetti umanitari, faceva la popstar a tempo pieno; con il suo gruppo si trasferì da Dublino a Londra in cerca di notorietà, in pieno furore punk, nel 1976. Transitò velocemente a forme rock più tradizionali, con nessuna influenza specifica nettamente individuabile. Tra la fine del 1978 e il 1980, i Boomtown Rats erano presenze abituali nelle classifiche inglesi. I don’t like Mondays, rimane la loro canzone più memorabile, grazie anchead un video di David Mallet, in cui per la prima volta veniva raccontata una storia; il titolo della canzone è la risposta data alla polizia da una ragazza di 16 anni che nei pressi di San Diego nel 1976 cominciò a sparare in una scuola vicino a casa, uccidendo due adulti e ferendo otto bambini; di questa vicenda parla la canzone.

Bow Bow Bow (UK)

Chihuahua

1981

Primo progetto post-Sex Pistols di Malcolm McLaren; stavano nel reparto ritmi tribali e schitarrate, non propriamente l’opzione preferita di chi ama le melodie, tipicamente assenti. Il pezzo proposto, contrariamente agli altri, suona quasi melodico; il video relativo ce lo fece vedere qualche volta Carlo Massarini a Mr. Fantasy.

Sarebbe dovuto toccare loro il successo che invece andò ad Adam Ant, se insieme alla band fosse rimasto anche lui. Andò diversamente: Adam Ant, in cerca di successo dopo lo scarso entusiasmo commerciale suscitato dal suo primo disco, si rivolse a Malcolm McLaren, il produttore dei Sex Pistols, ormai disciolti. A McLaren, Adam Ant non piacque, si tenne la sua band e lo licenziò, sostituendolo con Annabella Lwin, quattordicenne, originaria della Birmania dalla parte di padre. Tra scandali veri o creati ad arte, principalmente dovuti alla minore età della cantante, il progetto di McLaren, fece molta fatica a decollare; quando finalmente, al sesto tentativo (Go wild in the country), entrarono nella top ten inglese, i pezzi migliori erano già andati, e faticarono a mantenere la notorietà, che si reggeva, comunque, su elementi extramusicali.

Bowie, David

Sound and vision

1977


Fashion

1980

“… Bowie was one of the most influential musicians in rock, for better and for worse. Each one of his phases in the ‘70s sparked a number of subgenres, including punk, new wave, goth-rock, the New Romantics, and electronica. Few rockers ever has such lasting impact.” S.T. Erlewine, All Music Guide to Rock, 2002

In principio fu… David Bowie: se rimane controverso l’apporto originale di Bowie alla musica rock - molti sostengono, per esempio, che fu solo un abile utilizzatore di materiali altrui, è unanime la tesi che il suo ultimo contributo di una qualche originalità fu Scary Monsters, l’album del 1980. In particolare tra la pubblicazione di Low e quella di Scary Monsters, il prestigio di Bowie era al massimo: sistemandosi a Berlino con Brian Eno e accogliendo di lì a poco anche Robert Fripp, si mantenne non solo arbiter indiscusso del gusto e di atteggiamenti estetici, ma anche artefice di scenari sonori, che altri avrebbero calcato solo molto tempo dopo, trovando anche il tempo di far rinascere Iggy Pop, analogamente a quanto fatto cinque anni prima con Lou Reed (“From station to station/back to Dusseldorf City/
Meet Iggy Pop and David Bowie”, cantavano i Kraftwerk).

In Sound and vision, primo singolo da Low, la voce di Bowie si comincia a sentire a metà canzone e non rallegra più di tanto l’atmosfera malata imbastita da distorcenti batterie da marcia militare, l’ossessivo suono dei piatti, un accattivante riff di chitarra e un simil-violino elettronico che fa filtrare una luce fredda e altrettanto morbosa. Ai funzionari della RCA, a cui versimilmente il primo ascolto di Low doveva aver fatto imbiancare e cadere tutti i capelli, il terzo posto di Sound and vision, in Inghilterra - erano quattro anni che un pezzo originale di Bowie non andava così in alto in classifica, risultò oltremodo inaspettato, placandoli temporaneamente.

Fashion, il secondo singolo tratto da Scary Monsters, che palesa più di una risonanza da Golden years, tranne che per l’eccellente lavoro chitarristico di Robert Fripp, apre e chiude i conti con l’appena nato movimento new romantic: Steve Strange, leader dei Visage, compariva nel video di Ashes to ashes, e in quello di Fashion si vedono freak in coda per entrare in discoteca, vestiti in abiti vittoriani, che ricordano una corte dei miracoli. L’ironia di Bowie (“turn to left/turn to right, talk to me don’t talk to me, dance with me don’t dance with me”) tutta tesa a mettere in evidenza la stupidità della moda, rimase lettera morta: Fashion venne utilizzata a lungo sulle passerelle che la canzone metteva alla berlina e diventò l’inno dei ragazzi che frequentavano il Blitz, il locale di Londra, da cui si diffuse il verbo new romantic.

venerdì 18 maggio 2007

oggi mi piace: As if I asked a common Alms (323) - Emily Dickinson

Come se avessi chiesto l'elemosina
e nella mia mano sorpresa
uno straniero deponesse un regno
lasciandomi smarrita
Come se avessi chiesto
all'Oriente un mattino
e - levate le dighe purpuree
mi schiantasse con l'alba


As if I asked a common Alms,
And in my wondering hand
A Stranger pressed a Kingdom,
And I, bewildered, stand -
As if I asked the Orient
Had it for me a Morn -
And it should lift its purple Dikes,
And shatter me with Dawn

Inventò la tridimensionalità. Dopo aver letto le sue poesie poté sembrare che le parole fino a quel momento non avessero avuto profondità spaziale: non solo ogni parola era di nuovo vergine, come se non fosse mai stata usata, ma veniva combinata insieme ad altre per creare variazioni iridiscenti, inudite prima.
Da leggere Tutte le poesie nel Meridiano Mondadori, curato da Marisa Bulgheroni, di cui è necessaria anche la lettura di Nei sobborghi di un segreto, la biografia della "reclusa di Amherst", Mondadori.

mago zurlì, mariele e richetto

Anche ascoltate da grandi, rimangono delle e vere e proprie delizie, sia per i testi che per le tenere interpretazioni. Ognuno si ricorda quelle di quand'era bambino, e per quanto mi riguarda, quella più recente di mia conoscenza è Cocco e Drilli, la vincitrice del 1974.
All'inizio del 1970, ricordo solo che era un tardo pomeriggio di inverno, ricevemmo la visita di due signori elegantemente vestiti; dopo un po' che se ne stavano a parlare in salotto con mia madre, fui invitato ad entrare nella stanza perché i due signori volevano conoscermi. Non pensate cose sgradevoli, si trattava di due selezionatori dello Zecchino d'Oro. Ero molto ''vergognoso' e mi rintanai da qualche parte e non volli più uscire finché non se ne furono andati. Lasciarono un libro sullo Zecchino d'Oro un lp che conteneva tutte le canzoni finaliste dell'edizione del 1969. Devo averlo sfogliato parecchio in quel periodo, perché conservo un ricordo preciso di tutte le foto riportate, tra cui quelle di tutti i partecipanti fino al 1969.
Non seppi mai perché vennero a casa mia; vabbé che ero molto bello ...
Qualche anno prima mi era stato regalato un 45 giri che conteneva Il dito in bocca su un lato e sull'altro Il dodicesimo, dell'edizione del 1966: mi piacevano tutte e due, ma il mio preferito era il secondo, perché nel testo si parlava di 12 fratelli che formavano una squadra di pallone e il più piccolo, il dodicesimo, poteva solo fare il tifo. Poiché io ero e sono l'undicesimo di undici fratelli e sorelle, si capisce come mi appassionassi!
Tra il 1967 e il 1970 andavo allegramente all'asilo: tra le canzoni che ci facevano cantare insieme a La bella lavanderina, La danza del serpente, Son tre notti che non dormo... e La battaglia di Magenta, c'erano naturalmente quelle dello Zecchino d'Oro. E si dà il caso che nell'edizione 1968 dello Zecchino d'Oro furono presentate forse quelle che sono tutt'ora le due canzoni, così mi dicono i miei amici con bambini piccoli, da loro preferite: 44 gatti e il Valzer del moscerino.

1.

44 gatti

Barbara Ferigo

1968

2.

Volevo un gatto nero

Vincenza Pastorelli

1969

3.

Il dito in bocca

Angiolina Gobbi e Alessandro Ferraro

1966

4.

Il valzer del moscerino

Cristina D’Avena

1968

5.

Popoff

Walter Brugiolo

1967

6.

Il caffè della Peppina

Marina D'Amici e Simonetta Gruppioni

1971

7.

Il pulcino ballerino

Viviana Stucchi

1964

8.

La giacca rotta

Raymond Debono

1962

9.

Il pesciolino stanco

Maurizio De Maurizi

1969

10.

Cocco e Drilli

Maria Federica Gabucci, Sabrina Mantovani, Claudia Pignatti e Alessandro Strano

1974



lunedì 14 maggio 2007

oggi mi piace: Storia di una donna che ha amato due volte un uomo che non sapeva amare - Patty Pravo

.......................
E ora...

Che cosa noi abbiamo ( ... ) rimane
E ti ho voluto io così
Mi mandi mazzi di fiori e dischi di Mozart
E pensi che sia felice così
E così sia
Se andiamo avanti di prima che resta
Ma io salvo il passato per me
Ti lascio l'ultimo dono d'amore
Ti lascio il giusto ricordo di me
...........................
Molto tempo prima che smettesse di pronunciare la 'r' - con la 's' qualche problema ce l'aveva già allora: all'inizio di Per te, "Stai dormendo..." diventa "thtai..." nelle esibizioni dal vivo a Canzonissima '70 e a Senza rete; in Non ti bastavo più si sentiva facilmente un "bathtavo", e così via.
Esattamente quarant'anni fa, a 19 anni si inventava quel doppio registro di voce in Se perdo te, rendendo un servizio eccezionale ad un testo, che pur bello, dava sempre la sensazione di precipitare nel retorico. In quella voce sopra le righe si compiva lo strazio e la lacerazione d'amore, esattamente come proposto dal testo. Gliel'avranno anche detto di farla così, ma provate a vedere cosa viene fuori se la stessa cosa la fate fare a Laura Pausini, o ad Anna Oxa.
La sua apparizione a Canzonissima '68 con Sentimento, fu responsabile di un vero shock estetico in me quattrenne: mi aspettavo che sarebbe ricomparsa ogni sera, prima delle preghiere all'angelo custode .
A5 anni dall'esordio aveva già compiuto un percorso artistico completo, lasciandosi alle spalle le pose yé-yé, ultima occorrenza: Il paradiso, ed era giunta ad un repertorio da Signora della canzone, con dispendio di vibrati nell'interpretazione, recitativi melodrammatici, riletture di Brel e Ferré.
Il titolo di oggi costituisce un bell'esempio di Patty nel suo 'periodo francese', parole sue, che racchiude la sua produzione Philips tra il 1971 e il 1972. Questo 'epos' chilometrico (testo di Pallavicini, musica di Shapiro), in cui la lunghezza del titolo è perfettamente speculare alla lunghezza della canzone, che dura quasi 9 minuti, Patty dà sfoggio dello stile interpretativo che abbandonerà già nel 1973, con il rientro alla RCA, causa lo scarso riscontro commerciale dei tre album pubblicati con la Philips.
Incorniciata ancora bambina in etichette limitanti (la ragazza del Piper) e subito dopo aggettivata iperbolicamente a suon di unica irripetibile stupenda che finirono per fare tutt'uno con il nome, associata a sostantivi astratti precariamente vuoti di senso quali trasgressione, imbalsamata è finita per diventarlo nel vero senso della parola, visto che da qualche anno non è probabilmente in grado di muovere nemmeno un muscolo del viso a forza di lifting e iniezioni di botox.
Uno dei più grandi e sottovalutati geni dell'italica canzonetta. Fin dall'inizio diede l'impressione di sapere già tutto, che non avesse bisogno di imparare nulla, che l'arte fosse connaturata in lei e non credo che c'entrassero granché le passeggiate con Ezra Pound e i pomeriggi trascorsi a fare i compiti nel salotto di Peggy Guggenheim. Lei non studiò la Divina Commedia o al limite Dante come tutti noi, lei studiò dantismo.



10 canzoni (per me)...

...che, italiane e dopo il duemila, mi hanno fatto alzare la testa da quello che stavo facendo.

Occhi da orientale

Daniele Silvestri

La guerra è finita

Baustelle

Solo un sogno

Pacifico

Di sole e di azzurro

Giorgia

Le mie parole

Samuele Bersani

Luce (tramonti a nord-est)

Elisa

Gocce di memoria

Giorgia

E’ non è

Niccolò Fabi

Cose che cambiano tutto

Diego Mancino

Morirò d’amore

Giuni Russo

domenica 13 maggio 2007

oggi mi piace: Looking at tomorrow (the Farewell song) - The Beach Boys

da Surf's up (1971)

Ive been laying on my back
Like a freight train off a track
Trying to find a job to fit my trade
With the morning sun come round
Well Ill be covering plenty of ground
And I dont need nobody to pay my aid
Mmmm pay my aid
Now bess and me were feeling bad
And all the good jobs they were had
I had to take to sweeping up some floors
Well I dont mind that so much
Or the changing of my luck
But you know I could be doing so much more
Ba ba ba ba ba ba ba ba
Ba ba ba ba ba ba ba ba
Bip bip bip bip bip bip bip bip bip boo
Well Ill be coming home tonight
And everything will be all right
And well be looking at tomorrow


Il surf era già finito da qualche anno, quando si erano inventati la canzone-paradiso perfetta, God only knows: non c'è il lavoro, se non fare le pulizie, ma quando tornerò a casa stasera, tutto andrà bene, e spererò nel domani...
Il ba ba ba ba più desolato e angosciante che si sia sentito nella musica pop.

oggi mi piace: The things I miss - My Bloody Valentine (1987)

Prima che si avventurassero a perlustrare territori mai esplorati prima, in cui si sarebbero mossi in molti negli anni a venire (dreampop, trip-hop), prima che riuscissero a tirare fuori melodie infarcendo le loro composizioni di controtempi e dissonanze ... in un EP pubblicato subito prima di ISN'T ANYTHING, ECSTASY, si trovava anche questa, che risente ancora un po' del feedback dei fratelli Reid in Psychocandy, ma dà comunque l'impressione di essere qualcosa di diverso e autonomo.
Più che un muro-del-suono, quello che circonda i due amanti, protagonisti della storia, è un mare di filo spinato ...


Ride the waves goodbye
Walk the silver sand
Come with me, walk with me
To another land

We could never be
Barely cannot see
Take my hand, Ill bring you there
A place we've never seen

But the touch of your kiss
(will) leaves me in a mess
The things I miss

Now the stars will shine
Taste your melting smile
Floating down into my arms
Your lips are touching mine

Stars will comb your hair
We will always be
Together there forever more
Away from misery

But the touch of your hand
Will make me understand
The things I miss
Or the touch of your kiss
Leaves me in a mess
The things I miss
Or the touch of your hand
Will make me understand
The things I miss

NEW WAVE ONE HUNDRED: parte 1 (lettera A)

Il periodo 1978-83 è definibile più di altri attraverso i singoli; ne presenterò, ordine alfabetico per nome artista, un centinaio circa. Una volta tanto non si comincia con ABBA, - anche se The day before you came e The visitors ...

ABC

Poison arrow

1982

ABC

The look of love

1982

Ero sicuro di segnalare Poison arrow, ma una ripassata ai video mi ha convinto che a non tralasciare The look of love. Perfetto punto di convergenza tra l’origine punk e un approdo pop, si potrebbero definire l’incrocio più riuscito tra i Clash (il gruppo preferito di Martin Fry) e gli Earth Wind & Fire. Ironici e ballabilissimi, orchestrazione ridondante, produzione impeccabile di Trevor Horn. Da segnalare il canto appassionato e sopra le righe di Martin Fry, con echi di melodramma in cinemascope nelle interpretazioni dei video; e il ciuffo alla Brian Ferry, di cui si coglie più di una suggestione, volta in chiave ironica, nell’abbigliamento.

Enorme successo, in misura un po’ minore negli Stati Uniti, dove diventeranno più popolari qualche anno dopo.

Adam & the Ants

Antmusic

1980

Adam & the Ants

Stand and deliver

1981

In Inghilterra non si ricordava niente dal genere dai tempi di Marc Bolan: alla fine del 1980 scoppiò la antmania, con le classiche scene di isteria collettiva, ragazzine urlanti, etc. Il contagio non superò l’anno di durata, bastò il passo falso di Prince Charming (album) alla fine del 1981, a rimettere tutto a posto.

Ritmiche tribali, ispirate ai percussionisti del Burundi, con un più di un occhio al glam di Gary Glitter, echi di spaghetti-western e Adam Ant, con un look che era un misto tra un indiano pellerossa e un pirata: piuttosto divertenti. Vendite stratosferiche in Regno Unito: Kings of the wild frontier, album più venduto dell’anno e subito dietro Prince charming, che pur male accolto, vendette soprattutto sulla fiducia. Stand and deliver e Prince charming, nove settimane al primo posto in due, finirono secondo e terzo nella lista dei singoli più venduti, preceduti da Tainted love dei Soft Cell.

Associates, the

Party fears two

1982

Ve lo dico subito: adoravo e adoro Billy Mackenzie, ovunque si trovi adesso che non è più sulla terra, il cantante che, con Alan Rankine, stava alla base del progetto Associates. La voce incredibilmente estesa (non sono esperto, ma credo che arrivi al registro di soprano, senza falsetto) di Mackenzie, con richiami di Scott Walker e di Russel Mael degli Sparks, contrappuntava gli stupefacenti scenari sonori creati da Alan Rankine, il cui repertorio includeva chitarre distorte e sequenze ritmiche talvolta sfocianti in un vero e proprio caos sonoro. E’ stato detto che la musica degli Associates, grazie al contrasto tra l’approccio melodrammatico del canto di Mackenzie e le sonorità di Rankine, sembrava la colonna sonora di un viaggio in paesi sconosciuti.

Party fears two, con l’irresistibile riff di piano, inaugura la fase di maggior successo del gruppo, coincidente con il passaggio alla major Warner e la pubblicazione di uno degli album imperdibili del periodo, Sulk.

Billy Mackenzie si è suicidato nel 1998.

A chi ama il gossip, sembra che il William di William, it was really nothing degli Smiths, fosse proprio Mackenzie.

Aztec Camera

Oblivious

1983

Roddy Frame, a.k.a. Aztec Camera, è un classico esempio di “grande tra i minori”: bel primo disco, vendicchia anche, ci si aspetta che migliori e che sfondi, ma non succede: il secondo è inutile, il terzo vende tanto, ma facendo altre cose, poi poco altro.

Sta proprio ai margini temporali e anche tematici del periodo che si sta considerando, ma mi serve proprio perché rappresenta una delle più caratteristiche uscite dal suono elettronico dominante: all’Uomo Malinconico alienato e cibernetico viene prospettato il paesaggio delle brughiere irlandesi e scozzesi, cieli azzurri e nuvolosi, ma sempre malinconici, come il mare e le spiagge deserte in giornate di pioggia. Sta insieme a China Crisis, Lotus Eaters, Fiction Factory.

sabato 12 maggio 2007

oggi mi piace: Canzone quasi d'amore, Francesco Guccini

Chi nutrisse qualche dubbio sul perché Guccini sia ritenuto un grande autore di canzoni, dovrebbe dedicare un po' del suo tempo ad analizzare la qualità dei suoi versi, riascoltando, per esempio, CANZONE QUASI D'AMORE, da Via Paolo Fabbri 43, probabilmente il suo album più popolare.
E' curioso che Guccini, il cantautore di sinistra per definizione, i suoi concerti di un tempo come comizi, pugni alzati e quant'altro, ci commuova soprattutto per le sue canzoni d'amore che, come succede quasi sempre, riguardano più la fine di una storia che la fase della passione travolgente. Da VEDI CARA ad ESKIMO, passando per INCONTRO e per CANZONE QUASI D'AMORE, ci troviamo di fronte ad una sorta di poema in capitoli, un romanzo d'amore di cui stupisce la qualità delle descrizioni, l'icasticità delle immagini e la profondità delle situazioni che sono non solo evocate, ma dispiegate con un senso narrativo che, non mi risulta, abbia uguali nella canzone italiana, per valore e intelligenza.
All'inizio parlavo della qualità dei versi, intendendo proprio che a colpire non è la storia in sé - peraltro i versi sono pieni di senso, non ti devi mai chiedere: ma cosa avrà voluto dire?, ma proprio la sapienza nella gestione dei meccanismi formali propri della versificazione: i versi non sono solo "giusti" come misura, ma sono "belli", raffinati, nel senso che non ce n'è quasi alcuno in cui non si trovino assonanze e alliterazioni, richiami fonici che spesso risultano in rime interne; le similitudini, quando ci sono, come ci si dovrebbe aspettare da uno che scrive per mestiere, sono originali e brillano per inventiva, senza suonare mai artificiose.
Insomma Guccini è proprio bravo e sono orgoglioso che sia italiano: in Francia gli farebbero, ancora in vita, un monumento in ogni città. Non è il più originale dei musicisti, ma si può dire, per litote, che qualcosa la sa fare. E io, peraltro, l'ho più subito (sorella maggiore) che amato, preferendogli nell'empireo del cantautorato nostrano, De André e De Gregori e, ad altri livelli, Bennato.

Non starò più a cercare/parole che non trovo
per dirti cose vecchie/ con il vestito nuovo
per raccontarti il vuoto/ che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo/ vivendo sui ricordi
giocando coi miei giorni ...col tempo
O forse vuoi che dica/che ho i capelli piu' corti
o che “per le mie navi/son quasi chiusi i porti”
io parlo sempre tanto/ma non ho ancora fedi
non voglio menar vanto/ di me o della mia vita
costretta come dita ...dei piedi
Queste cose le sai/ per te siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno/ dei medesimi mali
per te siam tutti soli/ ed e' nostro destino
tentare goffi voli d'azione o di parola,
volando come vola ...il tacchino
Non posso farci niente/ e tu puoi fare meno
sono vecchio d'orgoglio/ mi commuove il tuo seno
e di questa parola/ io quasi mi vergogno
ma... c'e' una vita sola/ non ne sprechiamo niente
in tributi alla gente o al sogno
Le sere sono uguali/ ma ogni sera è diversa
e quasi non ti accorgi/ dell'energia dispersa
a ricercare i visi/ che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi/ buoni ad ogni evenienza
inseguendo la scienza ...o il peccato
Tutto questo lo sai/ e sai dove comincia
la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia
per te siam tutti uguali/ siamo cattivi buoni
e abbiam gli stessi mali/ siamo vigliacchi e fieri
saggi, falsi, sinceri... coglioni
Ma dove te ne andrai?/ ma dove sei già andata?
ti dono, se vorrai, /questa noia già usata
tienila in mia memoria/ ma non e' un capitale,
ti accorgerai da sola/, nemmeno dopo tanto,
che la noia, di un altro... non vale
D'altra parte lo vedi/ scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa/ pago le mie illusioni
fingo d'aver capito/ che vivere è incontrarsi
aver sonno, appetito/ far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare... grattarsi

sabato 5 maggio 2007

NEW WAVE ONE HUNDRED - introduzione


Settembre 1977: attratto da una parola che non avevo mai sentito, punk, che campeggiava in copertina, compro il mio primo CIAO 2001. Lo avrei comprato tutte le settimane per i 5 anni successivi. Quasi contemporaneamente alla radio cominciavano a sentirsi canzoni un po' diverse, con un suono più rarefatto; ricordo per esempio Criminal world dei Metro e Sweet Mama fix dei Larry Martin Factory. Una televisione locale, Teleradiocity, trasmetteva tutti i giorni un programma di video musicali (Videoshow) che, a suo modo, aveva anche qualche ambizione. Durava quasi due ore (dalle 17.30 alle 19.30, ora perfetta perché nessuno in casa rompesse le palle!, e poiché la produzione video, in quegli anni, era quasi tutta di provenienza inglese era possibile conoscere e vedere i video delle canzoni che trovavo in classifica in Regno Unito, quasi nello stesso momento. In quel torno di tempo soffrivo di beatlemania ritardata, scatenata dalla visione di Help sul secondo canale RAI, con assunzione quotidiana in dose massicce di Beatles-prodotti, canzoni, ma anche pubblicazioni e il Libro delle canzoni dei Beatles, ma stavano per essere sostituiti da David Bowie come interesse principale: la mia canzone di quel periodo diventò infatti Heroes, che passava molto spesso alla radio e di cui vedevo il video quasi tutti i giorni. Il punk stava finendo e c'era una nuova "parola" che cominciava a circolare, new wave. Era associata in quei primi tempi soprattutto ad artisti come Elvis Costello, di cui non conoscevo nulla, e a Ian Dury, di cui invece si sentivano sia Sex and drugs and rock'n'roll che Wake up and make love with me. New wave definiva all'inizio la produzione successiva e meno arrabbiata di artisti di area punk, inglese e americana (post-punk) ma di lì a poco arrivò ad includere praticamente quasi tutto ciò che confinava in qualche modo con il rock, dal filone elettronico (technopop in Italia, ma synthpop o electropop in Inghilterra) il revival mod, ska e rockabilly e soprattutto il "movimento" new romantic che, pur non particolarmente omogeneo nemmeno questo, ne rappresentò l'area di maggiore esposizione commerciale.
Il punk era stato la rivoluzione, dopo non si trattò di una vera e propria restaurazione, anzi. Si cominciò a definire dinosauri gli artisti che avevano dominato la scena rock nella prima metà degli anni settanta, principalmente nelle aree progressive e hard rock, che vennero rimosse e saltate a pié pari: dagli Yes ai Santana, dai Deep Purple agli Emerson Lake and Palmer. Non c'era un suono specifico, tutt'altro; le affinità erano da trovarsi nell'atteggiamento e nell'approccio centrato sulla costruzione della canzone, riaggacciandosi più direttamente con la tradizione degli anni sessanta, sia rock che pop, ed includendo a questo punto anche gli apporti della musica nera, nelle sue diverse evoluzioni, non ultima quella disco.
Si ricominciò a vedere gente vestita "bene", fin troppo! Il ridicolo era dietro l'angolo e gli sbuffi, i pizzi, trine e merletti dell'equipaggiamento di Adam Ant, Simon Le Bon, Sal Solo e Tony Hadley e compagni stanno a dimostrarlo. Non si risparmiarono nemmeno personaggi quasi insospettabili come Jim Kerr: su youtube mi sono ripassato qualche video da New gold dream o Sparkle in the rain, niente male!
Ma non era solo questione di abbigliamento. Quello che venne posto in essere a cavallo dei decenni aveva a che fare soprattutto con uno stile e con un gusto estetico piuttosto definito, che prevedeva anche la preferenza per luoghi, periodi storici e culture. Fu forse ancora una volta grazie a David Bowie, al suo soggiorno berlinese, che molti artisti inglesi cominciarono prediligere set collocati in ambito mitteleuropeo, vagamente confinanti nel tempo con il finis austriae, con predominanza (nei video musicali relativi) di un bianco e nero ispirato e mutuato dalla produzione cinematografica dell'espressionismo tedesco, ma anche da film come The third man (vedi Vienna degli Ultravox). In questo corto circuito musical-visivo, avevano gran parte oltre al già citato Bowie, anche l'eleganza disinvolta dei Roxy Music e soprattutto l'enorme influenza dei Kraftwerk, dalla cui eccezionale sprezzatura nel doppio reparto dei suoni e in quello visivo, vanno rinvenute gran parte degli elementi caratteristici di tutto il filone synth britannico (da Gary Numan in poi). I video musicali cominciarono ad essere eccezionalmente curati - ho in mente i colori saturi di Ashes to Ashes e i video in bianco e nero degli Ultravox per Rage in Eden, The thin wall e The Voice.
Penso che il sentimento dell'atrabile, la Malinconia la Melan-chòlia dei Greci, abbia trovato la più efficace rappresentazione pop nel set che venne elaborato ed allestito nei primi anni ottanta a favore di ragazzi che vi vedevano i riflessi del proprio personale angst adolescenziale.
Artisti che svilupparono carriere, tuttora in corso, e molto ricche, cominciarono in questo periodo: i Cure e i Depeche Mode, per esempio. Molto stretti i panni della new wave anche per grandi assoluti come Elvis Costello e Talking Heads. Altri ebbero carriere orientate più verso il pop commerciale come gli Spandau Ballet (breve durata) e i Duran Duran (ancora attivi, con relativo picco di moderato successo abbastanza recente).
Tornando a me e a CIAO 2001, la sua lettura e quella di altre riviste, cominciai a sbirciare anche dentro il New Musical Express e il Melody Maker (li scopersi solo perché CIAO 2001 usciva nelle edicole delle due stazioni di Genova, Brignole e Principe, ben 3 giorni prima che nelle altre edicole: il sabato, prima di andare a scuola passavo quindi sempre dalla stazione e lì trovai, come ovvio, e lo era molto di più nel 1978, un sacco di cose che non avevo mai visto nell'edicola dei giornali sotto casa); dalla lettura combinata di varie riviste, dicevo, e anche qualche libro che cominciò a capitarmi tra le mani, cominciai a risolvere i miei problemi relativi alla colpa e al peccato (when I look back upon my life, it's always with a sense of shame, I've always been the one to blame....it's a it's a it's a it's a sin! Beh, non proprio! forse ho esagerato!).
Ad ogni buon conto ciò che scoprii fu che su quei giornali si parlava bene delle canzoncine dei Blondie di Plastic Letters e delle filastrocche sghembe e deliziose di 77 dei Talking Heads e che ricevevano recensioni più favorevoli dei dischi contemporanei dei dinosauri del rock citati sopra. Si apriva una nuova era non dovevo più sentirmi in colpa con il mondo (fratelli maggiori) perché non mi piacevano gli Yes e i Gentle Giant e provavo una noia mortale dopo i primi due secondi di un assolo di chitarra.
Un'altra cosa che appresi che su questi libri e riviste fu che andare in classifica non era un peccato (in Italia, Le Orme in hit parade con Gioco di bimba, scandalo! venduti! e l'anno beatamente trascorso nei primi posti da Rimmel di De Gregori?). Anzi, non solo compresi che andare in classifica era il più grande desiderio di chiunque arrivasse a pubblicare dischi, e che ancora più grande era quello di venderne a palate, ma che massima posizione e permanenza in classifica erano uno degli indicatori principali utilizzati dai giornalisti nelle valutazioni di un'opera.
In particolare, cominciai a provare un'adorazione per le classifiche inglesi, dove si trovava veramente di tutto e per tutti i gusti (a distanza di qualche settimana nei top ten c'erano Patti Smith con Because the night e Raffaella Carrà con Do it do it again!) ma soprattutto ci si trovavano canzoni che non si sarebbero potute trovare in nessuna classifica di vendita di altri Paesi! La cosa che mi sorprese di più fu la velocità del ricambio; abituato ai 6 mesi medi di presenza (e si parla di hit parade, prime otto posizioni) dei singoli di grande successo in Italia, in Inghilterra se guardavi la classifica a distanza di un mese, non era raro non trovarci nemmeno un brano del mese precedente. Per dare un'idea: a Don't stand so close to me dei Police bastarono 10 settimane in classifica (di cui 4 al numero uno) per diventare il singolo più venduto del 1980! Mary's boy child dei Boney M superò il milione di copie nella metà delle 8 settimane complessive nella top 75!