sabato 28 aprile 2007

I giorni della disco - 2.6

10. Fantasy

Earth, Wind and Fire

1977

Già gruppo r’n’b di grande successo in US, assurgono a superstar planetarie tra il 1977 e il 1979, con sequenza ininterrotta di gran pezzi da ballare: rappresentano il coté più raffinato della disco, con potente sezione fiati e cori perfetti. Fantasy è stata per anni la sigla di Prima visione, il programma di anteprime cinematografiche di Raiuno ed è stata rifatta, con discreto successo dai Blackbox nel 1990.

9. I wish

Stevie Wonder

1976

Songs in the key of life era il quinto capolavoro consecutivo di Stevie Wonder. Rimase per 14 settimane al primo posto degli album più venduti in US, produsse due singoli numeri uno e una delle canzoni più popolari della musica degli ultimi 50 anni a non essere uscita come singolo, Isn’t she lovely. Ok, lo so: cosa c’entra Stevie Wonder con la disco? Non c’entra quasi niente, va bene; ma in quel quasi, ci sta che almeno quattro brani di questo album erano ballatissimi dappertutto: I wish, Sir Duke, Another star e Black man. Può bastare?

8. You should be dancing

Bee Gees

1976

Una delle metamorfosi più radicali della storia della musica pop si era compiuta l’anno prima: il falsetto, archi e fiati di Jive talkin’ aveva annullato quasi dieci anni di onorata carriera nella sezione: pop melodico. Non era andata male: nel 1976 consolidarono il nuovo corso con questo grande singolo, che presenta uno degli inizi più torridi che mai si siano sentiti nella musica da ballo; poi è un tripudio di cori, chitarre, fiati, archi; per non dire di una favolosa linea di basso, con batteria stratosferica! La sua fama (come quella di Jive talkin’) venne riaggiornata con l’inclusione in Saturday Night Fever.

7. Nice’n’ nasty

The Salsoul Orchestra

1976

La fantasmagoria di un’orchestra per una delle mie epopee disco preferite: con un’introduzione che funziona come un rappel à l’ordre non discutibile (tutti in pista!), un tappeto ritmico cui resisti non potest, archi e fiati che improvvisano aperture di luce nella tenebra dei bassi-batteria. Divertitevi!

6. Don’t leave me this way

Thelma Houston

1976

Già classico Philly Sound di Harold Melvin and the Blue Notes di qualche anno prima conosce la sua versione definitiva nella versione di Thelma Houston, numero uno negli Stati Uniti all’inizio del 1977. Che si trattasse poi di un brano buono per tutte le stagioni si dimostrò nel 1986 quando la sua rilettura da parte di Jimmy Somerville (con Richard Coles nei Communards) anche con l’apporto di Sarah Jane Morris, diventò il singolo più venduto dell’anno nel Regno Unito e un best seller in tutta Europa. Thelma Houston, di cui non si conoscono altri successi, pur costituendo la più proverbiale degli one hit wonder, andò temporaneamente ad occupare il trono di disco queen, lasciato vacante da Gloria Gaynor, e prima che venisse assegnato definitivamente a Gloria Gaynor.

5. That’s the way I like it

KC. & the Sunshine Band

1975

Degli svariati hit (5 numeri uno americani a suo nome) scritti da H.W. Casey, uno dei produttori più importanti della prima disco (si è detto di Rock your babe e Jimmy Bo Horne), questo è probabilmente il più popolare: se si avessero dei dubbi a cosa si riferisca il titolo, gli “ah-ah, ah-ah” ripetuti per tutta la canzone tra “that’s the way” e “I like it” dovrebbero chiarire tutto. Ebbe un brano incluso in Saturday Night Fever (Boogie shoes) e due ritorni al grande successo nel 1979/80 (Please don’t go e Yes I’m ready) e nel 1984 (Give it up!.

4. You’re the first, the last, my everything

Barry White

1975

Insieme a KC. & the Sunshine Band il marchio di fabbrica disco più popolare del periodo 1974-1976: di pari passo con questo, una ripetitività indubbia che rendeva spesso difficile distinguere un hit dall’altro. L’altra caratteristica di Barry White riguardava la lunghezza dei titoli delle canzoni. Il suono è quello soffice e morbido di origine orchestrale con tappeti di archi su cui si innesta il vocione del cantante.

3. Never can say goodbye

Gloria Gaynor

1974

Con i due artisti sopra citati compone l’ideale empireo delle divinità disco, nei giorni della prima diffusione del nuovo culto. In particolare, Gloria Gaynor fu la prima star ad essere fregiata del titolo di disco queen: in realtà le sue fortune non furono così durature, visto che già nel 1976 era considerata irrimediabilmente superata e che nel 1979, quando I will survive diventò un hit stratosferico, sembrava che i suoi successi precedenti si riferissero a qualche imprecisata epoca del passato. Tornando invece ai suoi primi giorni felici, Never can say goodbye, cover di un brano del 1971 dei Jackson 5, risulta ancora oggi uno degli inni più allegri, portatori di euforia gioiosa, che sia mai stato dato sentire nelle piste da ballo, grazie all’arrangiamento e alla vocalità serena e aperta di Gloria Gaynor. L’idea geniale fu quella di inserire Never can say goodbye in un medley che iniziava con Honey bee e si concludeva con la cover di Reach out (I’ll be there), nell’album della Gaynor del 1975, per una durata di quasi 20 minuti, a coprire tutta la facciata che predisponeva ad una maratona di danze e balli che percorse le sale di tutto il mondo per tutto l’anno.

Raccomandazione: da evitare accuratamente le versioni rifatte di Never can say goodbye e di Reach out (I’ll be there) che hanno cominciato a circolare in larga copia nei negozi di dischi a partire dal primo disco revival dei primi anni novanta: fanno schifo!

2. Night fever

Bee Gees

1978

L’apoteosi della disco si raggiunse nella primavera del 1978: la colonna sonora di Saturday Night Fever rimase per 24 settimane (6 mesi!) al primo posto degli album più venduti negli Stati Uniti. Successi analoghi si riprodussero in tutti i mercati discografici maggiori. I 5 brani originali dei Bee Gees (i 3 singoli e i 2 brani cantati anche da Yvonne Elliman e dai Tavares) nonché un’altra mezza dozzina di successi degli anni precedenti rivitalizzati dall’inclusione nella raccolta, occuparono per tutta una stagione le classifiche dei singoli e le frequenze delle radio. Si cristallizzò un’idea della disco, che non includeva necessariamente tutte quelle esistenti e quelle passate, soprattutto a livello musicale. Introdusse una sorta di sospensione alla reazione, che di lì a poco avrebbe assunto negli Stati Uniti connotazioni anche violente, al fenomeno disco, avvertibile, in Italia, per esempio, già verso la fine del 1977. Le accuse erano le solite: musica vuota, banale, ripetiva, noiosa, stupida e per stupidi, etc. L’impatto commerciale fu enorme: non solo a livello di apertura di locali, ma anche per quanto riguardava gli investimenti e la programmazione delle case discografiche: tra il 1978 e il 1979 la quantità di artisti di ambito pop/rock che migrò verso produzioni disco fu impressionante.

Torniamo ai Bee Gees: in presenza di dittici dicotomici, tutti hanno ragione e nessuno ha torto. Il caso che si tratta qui è: preferite Night Fever o Stayin’ alive? Stayin’ alive arrivò temporalmente prima e annunciò la Febbre: in Italia fagocitò il secondo singolo che quasi non ebbe riscontro in classifica. Diversa la storia oltralpe: nel Regno Unito, Stayin alive non andò nemmeno al primo posto, Night Fever fu prima solo per due settimane (e quattro al secondo posto), causa le vendite stratosferiche di Rivers of Babylon dei Boney M; le richieste per i due singoli erano talmente elevate che gli stabilimenti inglesi non riuscivano a coprire la domanda e costrinsero la WEA e la RSO a farli stampare anche in Olanda e in Germania. Negli Stati Uniti il match Stayin alive-Night fever finì 4 a 8 – nel senso di settimane al primo posto! Se non si è capito, a me piace più Night fever!

1. I feel love

Donna Summer

1977

Uno degli archetipi disco per antonomasia. Suona quasi sperimentale e avant-garde ancora oggi. In un album (I remember yesterday) tra i più mediocri che la coppia Moroder-Bellotte predispose per la Summer, spicca come una gemma ineguagliabile. Non amata da chi dalla disco si aspetta soprattutto violini e melodie semplici con cori e fiati che la fanno da padrone, rappresentò probabilmente il più inatteso dei successi da parte degli stessi produttori che non lo volevano nemmeno pubblicare come singolo di punta. Solo sintetizzatori con linee ritmiche che si inseguono e si sovrappongono per scomparire tutte insieme e ripartire una dietro l’altra, come succede due volte nella versione più lunga del brano; suoni di tastiera elettronica che evidenziano coppie minime di apertura/chiusura, compressione /dilatazione, oppressione/liberazione. Rimixata infinite volte, tra le cover va segnalata quella a nome Bronski Beat e Marc Almond, non fosse che per il successo ottenuto (terzo posto in UK, in aprile 1985): si trattava in realtà di un medley, comprendente anche Love to Love You Baby e Johnny Remember Me di John Leyton. Wikipedia riporta la definizione di un critico, secondo cui si trattava di "the gayest record ever made"; in italiano la diremmo una "gran checcata", il che non deve intendersi come un'offesa!
Nell’estate del 1977 avevo 13 anni e impazzivo per I feel love. Vado a memoria, ma mi sembra che Donna Summer venne in Italia per un concerto alla Bussola a settembre dello stesso anno: i giornali continuavano a dire che non esisteva, che era un prodotto di studio, che la voce dei dischi non era la sua, etc. Tutto ciò si svolgeva parallelamente al tam tam mediatico sulla presunta transessualità di Amanda Lear, che conosceva in quel periodo il grande successo di Tomorrow. Renato Zero impazzava con Mi vendo/Morire qui e anche a scuola – all’inizio della terza media, si parlava di omosessualità: era trent’anni fa!

mercoledì 25 aprile 2007

I giorni della disco - 2.5

20. Yes sir, I can boogie

Baccara

1977

Il più improbabile dei numeri uno inglesi del periodo: il duo femminile spagnolo spopolò in tutta Europa nell’autunno del 1977: una vera e propria delizia, resa ancora più irresistibile dall’inglese approssimativo delle interpreti. Replicarono parzialmente con il successivo Sorry I’m a lady.

19. Ma Baker

Boney M

1977

Si sta parlando qui di uno dei gruppi di maggiore successo in giro per l’Europa tra il 1977 e il 1979: con un’immagine (le copertine fanno ancora morire dal ridere!) tra il trash e il macho (tre donne e un uomo) inanellarono un’incredibile serie di hit, il cui vertice è rappresentato da Rivers of Babylon, pubblicato nella primavera del 1978. Non rendo probabilmente giustizia agli Abba, ma l’ambito di diffusione della loro produzione era lo stesso, ovvero pop melodico con ritmiche e impasti vocali accattivanti che, sovente, tendevano alla disco. I temi trattati nelle loro canzoni erano piuttosto eclettici: includevano, tra gli altri, la questione nordirlandese (Belfast) e il favorito dello Zar di Russia prima della Rivoluzione di Ottobre, Rasputin. Ma Baker, con Daddy cool, rappresenta il vertice commerciale della produzione più “da discoteca”.

18. Love hangover

Diana Ross

1976

Non so se all’epoca Diana Rossa entrasse e uscisse da cliniche di disintossicazione, come siamo abituati a leggere sui giornali da ultimo per quanto la riguarda: la sbornia del titolo è questa volta una sbornia d’amore: niente di cui preoccuparsi. Primo singolo disco della Motown ad andare al primo posto in US, nella versione da 7’50 si compone di tre parti: nella prima, una sorta di introduzione lenta (i primi tre minuti), Diana ci narra gli eventi che si sono risolti nella “più dolce sbornia d’amore”, da cui non vuole uscire mai più; annunciata da tre colpi d’archetto di violino inizia la parte più propriamente disco, con l’hook assassino che andrà avanti come un loop per tutto il resto del pezzo; ad una parte esclusivamente strumentale (quasi 2 minuti), segue la parte finale in cui Diana sussurrante implora di non chiamare dottori, mamma e preti e che non vuole essere curata …..Eccellente!

17. Got to give it up (part 1)

Marvin Gaye

1977

L’altro gigante della Motown a trarre qualche vantaggio dal mercato disco fu Marvin Gaye: versione accorciata di un brano lungo 12 minuti che comparve in un disco dal vivo uscito nello stesso anno, andò al numero 1 delle classifiche pop, r’n’b e disco di Billboard. Gaye usa un falsetto che forse influenzerà Michael Jackson in Don’t stop till you get enough; il rumore di fondo è giustificato dal testo della canzone, che parla di un ragazzo che è troppo timido per ballare (l’azione si svolge in un locale da ballo), ma poi, grazie alla musica (groove) si lascia andare al ballo e al resto …

16. Dancing queen

Abba

1977

La “queen” della canzone è la Regina di Svezia, per la quale la canzone fu composta: a parte Gimme! Gimme! Gimme!, è forse il loro pezzo più disco, ed è sicuramente quello più venduto – l’unico numero uno americano, andò al primo posto pressoché in qualunque mercato del mondo, tranne forse l’Italia. L’Italia, dopo un primo innamoramento coincidente con i due grossi successi SOS e Fernando, si mostrò pochissimo sensibile al fascino degli Abba, con parziale recupero solo con Winner takes it all, nell’autunno del 1980: tutto ciò che stava in mezzo – stiamo parlando di una dozzina di singoli (numeri uno o top 5 dappertutto) passarono relativamente inosservati: c’è da dire che il pregiudizio nei confronti degli Abba era probabilmente superiore a quello ostentato nei confronti della musica da discoteca: chi ascoltava gli Abba o era un bambino, o era uno stupido!

15. Follow me

Amanda Lear

1978

Il fenomeno Amanda Lear esplose in Italia nell’estate del 1977: apparentemente una delle tante Disco divas, si portava dietro un curriculum piuttosto consistente. Amica di Bowie, modella (compare sulla copertina del capolavoro dei Roxy Music, For your pleasure), amica-amante di Salvador Dalì. Tutto ciò sarebbe passato inosservato se il battage pubblicitario non avesse buttato nel mucchio, la sua presunta transessualità, giustificata, peraltro, dall’aspetto, dalla voce particolarmente bassa, e anche da un certo senso dell’humour, tipicamente associabile al mondo gay. Tomorrow e Queen of Chinatown furono i due singoli che la consacrarono in cima alle preferenze perlomeno italiche – il suo successo fu limitato all’Europa centrale e non oltrepassò mai la Manica. Nulla, tuttavia, faceva presagire il vero e proprio delirio barocco che attende l’ascoltatore nella prima facciata di Sweet Revenge, il secondo album di Amanda Lear, prodotto come il primo, I am a photograph, da Anthony Monn. L’album, veramente stupefacente, per i canoni che caratterizzavano le produzioni disco, si apre con una suite di venti minuti circa con cinque movimenti, che incorpora le esperienze dei Kraftwerk e di Giorgio Moroder e le miscela con la disco orchestrale più tipica, quindi violini a profusione e cori da favola ma anche colpi di gong e schitarrate rock, piuttosto inusuali fino a quel momento e la voce di Amanda, la cui pronuncia inglese suona oltremodo esotica e che, come ha detto Michael Freeberg, un critico americano, “can’t properly sing even one note, but what’s got to do with anything?” Ah, Follow me è il primo singolo tratto da Sweet Revenge.

14. Trans Europe Express

Kraftwerk

1977

Capolavoro: minimalismo e grandi melodie, ritmi robotici, voci distorte. Grande impatto e influenze che si estendono ai luoghi più impensabili: la scena house di Chicago ha dichiarato il suo debito ai Kraftwerk. Hanno creato uno scenario, un ambiente, che prima non esistevano.

Si balla da favola.

13. Disco inferno

Trammps

1976

Anche i Trammps, come i Tavares citati sopra, beneficiarono dall’essere stati inclusi nella colonna sonora di Saturday Night Fever: Disco inferno, dopo una timida apparizione al cinquantatreesimo posto, ritornò in classifica nella primavera del 1978 sfiorando i top ten.

Uno dei brani che definiscono l’era disco, rifatta anche da Tina Turner e Cindy Lauper.

12. The Sound of Philadelphia

M.F.S.B.

1974

Il più importante centro di definizione del suono disco fu Philadelphia. Il modello si proponeva di smussare le parti più urticanti del funky, suoni levigati e dolci, atmosfera morbida, fiati e archi, cori femminili. Successo enorme

11. From here to eternity

Giorgio Moroder

1977

Giorgio Moroder fu forse il più importante produttore disco europeo, il cui impatto non è stato ancora valutato appieno. Insieme alle produzioni per Donna Summer, questo brano è il suo contributo più duraturo alla musica pop in genere. La disco elettronica nasce con lui: l’ambito è affine a quello in cui operavano i Kraftwerk, con un’attenzione molto più esplicita alla ballabilità.

I giorni della disco - 2.4

30. Turn the beat around

Vicki Sue Robinson

1976

Uno dei grandi brani della disco. One-hit-wonder irresistibile, venne ripreso con discreto successo da Gloria Estefan nel 1994.

29. Heaven must be missing an angel

Tavares

1976

I fratelli Tavares, nel solco della tradizione r’n’b, furono tra gli eletti beneficiati dall’essere stati inclusi nella colonna sonora di Saturday Night Fever: More than a woman era presente nella loro versione e in quella dei Bee Gees, che ne erano gli autori. Tuttavia, mi piace più ricordarli per questo bel pezzo di qualche tempo prima.

28. Doctor’s orders

Carol Douglas

1974

Nonostante fosse stato inventato da quasi un secolo a metà degli anni settanta la musica pop fece del telefono uno dei suoi temi preferiti: da Piange il telefono (Le telephone pleure) a Telephone line, passando per Buonasera dottore, forse ispirato almeno nel titolo dal pezzo della Douglas. Si sente nei titoli di testa di The last days of disco. Da non confondersi con il quasi omonimo Carl Douglas, in classifica nello stesso periodo con Kung Fu fighting. In Italia, tra i primi brani disco a diventare anche grossi successi commerciali (nel 1975).

27. Do it anyway you wanna

People’s choice

1974

Gemma del Philly sound: fiati e basso in gran spolvero. L’invito contenuto nel titolo e ripetuto per tutto il brano non sarebbe molto popolare nell’Italia del 2007.

26. Love to love you babe

Donna Summer

1975

Soprannominata “Regina della disco”. L’unica artista ad aver attraversato tutto il periodo disco da protagonista, con successo, se possibile, sempre crescente. Qualche dato: 9 singoli consecutivi nei top 5 di Billboard tra il 1978 e 1980, di cui 4 numeri uno (compreso il duetto con Barbra Streisand); tra il 1975 e il 1979 pubblicò 8 album (quasi 2 all’anno), di cui gli ultimi 4 doppi. Fu la prima artista donna ad avere tre album (doppi) consecutivi al numero uno di Billboard. Potrei continuare per pagine; per il momento basti sapere che, in un mercato naturalmente predisposto ai singoli, Donna Summer fu una delle poche artiste a vendere palate di album, al punto che questi andavano in cima alle classifiche anche quando i singoli non erano hit pazzeschi. In Italia, per esempio Four seasons of love e Once upon a time, tra il 1977 e il 1978, rimasero per settimane ai primi posti, senza avere forti singoli di traino.

Per venire invece al brano che ci interessa, bisogna dire che fu una delle grandi invenzioni della prima disco: intercettò, per esempio, la crescente richiesta di brani lunghi che permettessero ai d.j. dell’epoca di non dover cambiare continuamente i dischi, che fino a quel momento non superavano i 4-5 minuti; la versione dell’album copriva tutta la prima facciata. La naturale evoluzione sarà poi quella delle versioni extended, che cominciavano a circolare proprio in quei tempi, e la creazione di un nuovo supporto, il singolo 12”. La creazione di brani che diventavano delle vere e proprie suite, con orchestrazioni più o meno in evidenza, soprattutto nelle sezioni archi e fiati, diventarono uno dei filoni principali della produzione del periodo. Da molti considerata la versione brutta di Shaft di Isaac Hayes, Love to love you babe non si può dire che sia invecchiata bene, ma l’impatto all’epoca fu molto forte; sono note le fasi della sua registrazione, la lunga teoria di orgasmi simulati - qualcuno è arrivato anche a contarli; l’aneddoto che la pudica Donna Gaines in Sommer, diventata nell’occasione Donna Summer, si mettesse di spalle rispetto ai musicisti e la sua richiesta di spegnere le luci per la vergogna di emettere sospiri così univocamente interpretabili, etc. etc.

25. Love train

O’Jays

1973

Subito prima del contagio disco, a Philadelphia si creavano capolavori di tal fatta: piena tradizione soul, impasti vocali paradisiaci, archi, fiati e una ritmica accelerata che tenderà a diventare disco di lì a poco. Grande successo americano. Scena finale e titoli di coda in The last days of disco.

24. Lady Marmalade

Labelle

1975

E’ dura sintetizzare la carriera di un gigante della musica: stiamo parlando del meraviglioso prodigio e talento naturale che risponde al nome di Patti Labelle. Qui la troviamo in una delle sue incarnazioni più riuscite, perlomeno in termini commerciali: nel 1975 l’invito contenuto in Lady Marmalade, Voulez-vous coucher avec-moi?, montando l’onda della crescente disinibizione sessuale amplificata dal ritmo della musica disco, rimbalzò in tutti i Paesi del mondo: numero uno ovunque. Rifatta un sacco di volte: la più recente a quattro voci, tra cui Christina Aguilera e Pink, per il film Moulin Rouge, ebbe nel 2001 ancora più successo della versione originale.

23. Dance (a little bit closer)

Charo & the Salsoul Orchestra

1977

La “regina del Cuchi-cuchi”, Charo, nata in Murcia, Spagna, moglie quindicenne (?) di Xavier Cugat, fornisce la sua voce a una delle più famose orchestre del periodo disco: la Salsoul Orchestra, composta da 50 elementi e diretta da Vincent Montana Jr., fondendo soul, r’n’b, e ritimi latinoamericani, fu una delle presenze fondamentali del panorama disco. Il risultato, qui, tende molto al camp: archi e fiati a profusione, scampanellii con xilofoni o simili, quel certo disco flavour, la vocina di Charo che quando canta in inglese risulta piuttosto divertente. Lasciatevi andare, non ve ne pentirete!

22. Supernature

Cerrone

1977

I Concept-album, uno dei fenomeni più perniciosi che si siano mai affacciati nella musica pop, contagiarono anche la musica disco. Cerrone, uno dei nomi chiave (all’inizio con Alec Costadinos) della disco, fece il botto un paio di anni prima con Love in C minor, una suite che calcava il filone disco-erotico inaugurato da Donna Summer. Per Supernature, coadiuvato da Lene Lovich (ve la ricordate?) abbandonò le orchestrazioni dei dischi precedenti e inglobò molta elettronica, derivazione diretta Giorgio Moroder, con eccellenti risultati. Il concept- album? Ah sì: si parla di mutanti creati da scienziati per rimpiazzare l’umanità che sta morendo di fame, o qualcosa del genere. Vi interessa? A me no, sto ballando!

21. Devil’s gun

C.J. & Co.

1977

Forse il brano di minor successo commerciale presente in questa classifica, fu in realtà un grosso hit (a quei tempi si diceva: riempipista) nei club (discoteche) dell’epoca! Numero uno nella classifica dance di Billboard nella primavera del 1977, io la conobbi attraverso Radio Babboleo che in quel periodo la trasmetteva “a manetta”. Per quanto mi riguarda uno dei brani più potenti del periodo, ci si trova proprio tutto: voci su diversi registri (tenore e baritono), cori che rafforzano il crescendo ritmico, con gli archi in evidenza che, a loro volta, punteggiano il basso e la batteria in un tripudio che si vorrebbe non finisse mai. Uno dei brani di cui ho fatto più fatica a ritrovare titolo e autori: ricordavo solo il motivo, prima dell’illuminazione ho spulciato decine e decine di brani, e dopo mesi e mesi di ricerca avevo quasi perso la speranza.

venerdì 13 aprile 2007

I giorni della disco - 2.3

40. One for you, one for me

La Bionda

1978

I fratelli La Bionda abbandonano il progressive per la disco con le sigle La Bionda e D.D.Sound, mietendo successi con entrambe, tra il 1977 e il 1980: questo è il maggiore, popolare in tutta Europa.

39. Best of my love

Emotions

1977

Trio femminile prodotto da Maurice White degli Earth, Wind & Fire, spopolò con questo brano nell'estate del 1977.

38. I love the nightlife (Disco round)

Alicia Bridges

1978

Anche di Alicia Bridges non si conoscono altri successi se non questo: si sente nei film Priscilla, la regina del deserto e in The last days of disco.

37. Heaven must have sent you

Bonnie Pointer

1978

Insieme alle sorelle nel gruppo soul Pointer Sisters, iniziò la carriera solista con questo brano: lo scampanellio più famoso della disco, dopo quello di Ring my bell di Anita Ward, del 1979

36. You make me feel like dancing

Leo Sayer

1976

Forse il primo artista di provenienza pop-rock a salire sul carrozzone disco - Bowie excepted of course, lui faceva sempre le cose prima degli altri: da promettente cantautore inglese della nuova leva si ritrovò superstar mondiale con due numeri uno consecutivi in US, di cui questo è il primo. Nel 2006 è ritornato in auge per un remix di enorme successo di un suo pezzo del 1977, Thunder in my heart; non solo, più di un’eco di You make me feel like dancing si avverte in I don’t feel like dancing dei Scissor Sisters, oltre che nel titolo, quasi un calco, anche nel falsetto.

35. What a difference a day makes

Esther Phillips

1975

Con questa cover di una canzone di Dinah Washington, la grande e sfortunata cantante r’n’b Esther Phillips andò in classifica e si fece ballare in tutto il mondo.

34. Don’t let me be misunderstood

Leroy Gomez & Santa Esmeralda

1977

Autunno 1977: l’aggiornamento del classico degli Animals –già cantata da Nina Simone, con spruzzate di percussioni latine, chitarre in stile flamenco e l’implacabile beat disco ne fanno uno dei classici del periodo. Geniale l’utilizzo di Tarantino in Kill Bill vol. 1.

33. Let’s all chant

Michael Zager Band

1977

L’autore è Michael Zager, produttore, arrangiatore e pianista: uno dei nomi chiavi della disco. Il brano di maggiore successo in discoteca subito prima dell’avvento di Saturday Night Fever, fine inverno-primavera 1978: piuttosto contagiosa, non si fa mancare nemmeno un inserto quasi “cameristico”, naturalmente con strumenti elettronici. Era la canzone dell’ “ah ah-eh eh” , o anche, dell’ “uh-uh”.

32. Rock your babe

George McCrae

1974

31. Rock the boat

Hues Corporation

1974

L’1-2 della disco nell’estate del 1974: si può dire che la disco in termini di fenomeno commerciale cominci da qui: Rock your babe prende il posto di Rock the boat in cima alla classifica dei singoli di Billboard. Se per Rock the boat si può parlare di una canzoncina pop con un ritmo un po’ più sostenuto, è il pezzo di George McCrae che, in parallelo al Sound of Philadelphia, definisce la forma della disco prima maniera.