Genova, 24 giugno 1978
Cara Nadia,
scusa del ritardo con cui ti rispondo ma sono stato impegnato nell’esame di licenza (?) sino a tardi in quanto è stata sorteggiata la lettera F cosicché sono stato uno degli ultimi ad essere chiamato all’orale. In questo momento non sto facendo niente, non so se sono contento o se mi dispiace che sia finita la scuola, soprattutto perché questo è l’ultimo anno della media.
Prepariamoci ad una altra estate con Umberto Tozzi (Tu) che ci martellerà le tempie ovunque andiamo.
I cantautori segnano il passo, Antonello Venditti, ormai commercializzato con i suoi “pesci”, De Gregori e De André, anche se hanno recuperato molta dalla parte musicale si sono dedicati ad un pubblico più facile (De Gregori e Rimini); la traduzione di Romance in Durango da parte di De André è veramente penosa, e poi è meglio che smetta presto di cantare in sardo (Zirichiltaggia) perché lo canta in maniera spaventosa (te lo posso dire in quanto ho i genitori di origine sarda). Ho già ascoltato le nuove canzoni di Guccini perché sono andato a vederlo al Palasport, comunque il suo nuovo L.P. dovrebbe uscire a giorni e si chiamerà Amerigo.
Mi piacerebbe molto discutere sulla musica nazionale e internazionale e conoscere i tuoi gusti. Ti devo dire che fuori d’Italia a me interessano Crosby, Stills, Nash and Young: fantastici sono Harvest e Déjà vu, il country in generale e poi Pink Floyd, Bob Dylan, Genesis, Beatles, Cat Stevens, David Bowie, al di là di come hanno ottenuto il loro successo (commercializzandosi magari) e come l’hanno convertito in fonte di guadagno (Bob Dylan).
Chiudo così per questa volta il discorso musicale.
Non vorrei che i nostri colloqui (a distanza) trattassero solamente di politica in quanto il rapporto si spegnerebbe ben presto, ma di quei fatti di tutti i giorni che fanno la nostra vita....
Avevo 13 anni e quella riportata sopra è una lettera vera a un'amica che scrissi il giorno dell'esame orale di terza media: è un documento originale e mi sembra molto efficace per introdurre questo post che ha come oggetto la musica disco (o disco-music, come si chiamava in Italia).
Funzionava così: c’era la musica impegnata e la musica commerciale. Le due categorie erano impermeabili, prima di tutto nella testa dei ragazzi. Dentro la musica impegnata ci stavano naturalmente i cantautori e la musica rock pre-punk e pre-new wave, nelle sue articolazioni più diffuse in Italia nel periodo post-Beatles, ovvero progressive, hard-rock (allora si chiamava così quello che poi avrebbe assunto il nome di heavy metal) e west coast. La musica da discoteca era la quintessenza della musica commerciale. La musica da ballo eludeva il ragionamento, escludeva le categorie di giusto e sbagliato, faceva muovere il corpo prima (o senza) la testa e quindi addormentava le coscienze. Cosa farne? Come trattarla?
Il 1978 è l’anno in cui è finito il 1968 e gli anni settanta. Durante il periodo della prigionia del presidente della democrazia cristiana Aldo Moro esplodeva in Italia la febbre del sabato sera: John Travolta attirava le folle nei cinema e la musica dei Bee Gees istituzionalizzava anche sul suolo italico il tipo di locale per giovani, la discoteca, così come si era imposta negli Stati Uniti già da qualche anno, dagli albori della disco music.
L’enorme amplificazione mediatica di Saturday Night Fever, film e disco, scatenava gli opinionisti e i sociologi che, sulle colonne di Panorama, L’espresso e sulla neonata la repubblica, riversavano fiumi d’inchiostro sul perché e i percome gli italiani e soprattutto le giovani generazioni preferissero ballare Disco inferno invece che manifestare in piazza com’era d’uso solo fino all’autunno precedente.
Risulta tuttavia difficile pensare che improvvisamente i giovani italiani che affollavano le feste dell’Unità fossero passati dal cantare Hacia la libertad e Venceremos a ballare Night Fever e Stayin’ alive fino alle prime luci dell’alba: i primi sospiri languorosi di Donna Summer datavano 1975 e addirittura precedenti erano le epopee chilometriche di Barry White.
Tra la fine del 1977 e l'inizio del 1978 era opinione prevalente degli esperti musicali che la disco avesse imboccato la parabola discendente: il successo clamoroso di Saturday Night Fever, oltre a moltiplicare in maniera sbalorditiva i profitti delle case discografiche, a creare un modo nuovo di fruire la musica da ballo, fece intravedere una possibile new frontier musicale che, in moltissimi, provarono ad oltrepassare. Tra il 1978 e il 1980 la disco era pronta ad accogliere non solo il pop ma il rock e la new wave e le distinzioni si fecero molto meno rigide.
Quelli che oggi, trent’anni dopo, sono ritenuti veri e propri manifesti del periodo disco, erano ancora lì da venire – si pensi ad esempio ai fenomenali successi mondiali di Y.M.C.A., I will survive, Knock on wood, Ring my bell, Funky town per non dire di tutta la produzione targata Chic da Le freak ad Upside down passando per Good times, He’s the greatest dancer, We are family e Spacer; per non parlare delle incursioni nella disco di artisti insospettabilmente rock come i Rolling Stones nella ipnotica Miss you o nella di molto inferiore Emotional rescue; di Rod Stewart che, con Da ya think I’m sexy conosceva uno dei più colossali successi della sua carriera, dei Queen, che con Another one bites the dust riutilizzavano per la terza volta in poco meno di un anno il giro di basso di Good times ripetendone e amplificandone, se possibile, il successo. Ma furono i Blondie a chiudere il cerchio passando da una new wave molto pop ad un disco-rock di notevole efficacia e diventando prima in Inghilterra e poi dappertutto, uno dei gruppi di maggiore successo del biennio 1979/80.
Non durò ancora molto. Già nel 1979 negli Stati Uniti si formarono veri e propri movimenti anti-disco: lo slogan era "Disco sucks!", la disco fa schifo!, risultarono vendutissime le magliette che inneggiavano all'uccisione dei Bee Gees ed erano all'ordine del giorno roghi dimostrativi in cui venivano bruciati i dischi dei Bee Gees, Donna Summer, etc.
Presenterò un centinaio di pezzi, che rappresentano, a mio avviso, il meglio della produzione disco, tra il 1973 e il 1980. Lo farò suddividendoli in due parti. La linea di demarcazione più utile è senz'altro Saturday Night Fever, i cui effetti si fecero sentire in Italia nella primavera del 1978: in particolare tra i mesi di aprile e giugno di quell'anno la programmazione radiofonica venne praticamente saturata da almeno una decina di pezzi tratti dal doppio album, tra cui anche canzoni che erano stati successi di qualche tempo prima (Disco Inferno dei Trammps e i due numeri uno americani dei Bee Gees, Jive talkin' e You should be dancing).
Prima di Saturday Night Fever, negli anni 1974-77, la disco era costituita da due filoni piuttosto autonomi scarsamente dialoganti: il primo era quello che derivava direttamente dalla tradizione r'n'b e funky, di cui costituiva una delle possibili evoluzioni; l'altro filone è quello delle produzioni di studio europee, soprattutto tedesche e francesi, caratterizzate da un uso prevalente dell'elettronica, su cui si innestava sovente una linea melodica, derivata dal pop stile eurofestival: da qui il termine eurodisco, coniato in angloterritori e, forse, poco trasparente per noi.
Nella seconda fase, invece, furono dominanti le produzioni americane che innestarono le soluzioni più efficaci della disco europea sulle basi ritmiche tipicamente autoctone: si può forse dire che il grado di sofisticazione era molto maggiore, non necessariamente della freschezza e della efficacia. Molti produttori europei si spostarono negli Stati Uniti, molti artisti rock salirono sul carrozzone disco, oltre a quelli citati sopra, i Kiss, Elton John, i Beach Boys. Era molto più difficile individuare una linea autonoma r'n'b da quella disco: artisti come Earth Wind and Fire, Diana Ross e Michael Jackson, per dire solo dei maggiori, venivano identificati indifferentemente nell'una e nell'altra. Qualche anno dopo si sarebbe parlato di contaminazione, ma allora la parola richiamava solo fenomeni di inquinamento industriale o batterico.